La cannabis come antitumorale: la storia di Claudia
Claudia utilizza cannabis come trattamento antitumorale per alleviare le complicazioni dovute alle metastasi e gli effetti collaterali dei farmaci prescritti.
La diagnosi di carcinoma mammario e la mastectomia
Mi chiamo Claudia L. e ho 52 anni. Non fumo, ma utilizzo cannabis come antitumorale per scopo terapeutico. Nella primavera del 2009, pochi mesi dopo la nascita del mio secondo figlio, allattando il piccolo scopro un nodulo duro, una massa di 2 cm, un carcinoma mammario.
Quando il medico mi comunicò la notizia, mi sentii persa. Trascorsi tutta la notte a tremare di paura solo al pensiero che sarei potuta morire lasciando soli i miei figli. Mettendo da parte l’emotività, mi affidai al senologo. Mi sottoposero a un primo intervento chirurgico, una quadrantectomia, cioè l’asportazione della parte di seno col tumore.
Durante l’operazione, i medici scoprirono altre masse, ma, a causa dei residui dell’allattamento, non poterono che attendere un mese prima di procedere alla mastectomia, cioè l’amputazione di tutta la mammella, allo
svuotamento ascellare e alla rimozione di una piccola metastasi sottocutanea nella regione sternale.
Arrivarono l’esame istologico e la stadiazione del tumore: T4, in altre parole la forma più grave di cancro, perché già in fase metastatica. Cominciai quindi la prima parte della mia lunga marcia con le cure convenzionali proposte
dall’ospedale. Accettai tutte le terapie che i protocolli prevedevano:
- 6 cicli di chemioterapia,
- 30 sedute di radioterapia
- oltre un anno di trattamento con anticorpo monoclonale endovena.
Le conseguenze delle cure convenzionali contro il carcinoma
Le conseguenze della chemio e radioterapia sono spesso vomito, nausea, dolori articolari, irritazioni delle mucose, compresi problemi intestinali, perdita di capelli e aumento di peso dovuto all’assunzione di cortisone. Insomma tutti i sintomi di una tossicità generalizzata che si ripercuote sull’intero organismo lasciandolo privo di forze.
In quel periodo purtroppo non sentivo ancora parlare di terapie integrative, di cambiamenti nell’alimentazione e nello stile di vita o della rimozione di traumi emotivi. Tanto meno mi parlavano di cannabis come antitumorale.
La qualità di vita di un malato grave è della massima importanza. Non conoscevo il tempo che avevo a disposizione, nessuno lo sapeva. Oggi tuttavia so come posso sentirmi meglio, nonostante il cancro e tutte le complicanze legate a questa malattia. La cannabis, la marijuana, rappresenta parte di questo processo di cura, una parte sicuramente importante. Purtroppo compresi appieno questa, apparentemente ovvia deduzione, vivendo un altro shock.
Diagnosi di metastasi cerebrali e la cannabis come antitumorale
A settembre del 2012 mi arrivò la diagnosi di metastasi cerebrali con conseguente intervento chirurgico e asportazione di una lesione di 2 cm e, in aggiunta, radiochirurgia per bruciare un’altra massa inoperabile di quasi 1 cm. A seguito dell’operazione al cervello persi, temporaneamente, l’uso della parola, avevo difficoltà con la vista e con tutta la parte destra del corpo, ero semi paralizzata.
Avevo la testa rasata con una cicatrice di oltre 15 cm, sulla quale forse i capelli non sarebbero più cresciuto, anche a causa della successiva radioterapia. Assumevo dosi massicce di cortisone: iniezioni da 8 mg due volte al giorno per 10 giorni e poi 3 compresse da 16 mg al giorno, piano piano a scalare per altre 5 settimane.
Per arginare i rischi legati all’esteso edema cerebrale pre e post-operatorio e le possibili crisi epilettiche, dovevo inoltre fare iniezioni di Arixtra da 2,5 mg, per 3 settimane e assumere le compresse di Keppra da 500 mg due volte al giorno a tempo indeterminato (trattamento poi sospeso, dopo circa un anno e mezzo).
Capii di aver bisogno di qualcosa in più rispetto alle terapie cui mi sottoponevano in ospedale. Per combattere le cellule tumorali inducendo l’apoptosi, cioè la loro morte, per interferire con l’angiogenesi, cioè la creazione di nuovi vasi sanguigni, per ridurre il potenziale cancerogeno e per aumentare le mie difese immunitarie, mi servivano altre sostanze. Sì, ma quali e quanti composti dovevo assumere per ottenere questi risultati? Non sono un medico.
Attraverso vari canali, tra cui internet, scoprii che l’alimentazione gioca un ruolo fondamentale nella lotta contro il tumore. Mi facevano bene tè verde, aglio, cipolla, verdure crucifere (crescione, ravanello, rucola, senape e cavoli), curcuma con pepe nero, cioccolato fondente e canapa.
Erba, nel senso di cannabis, marijuana, come antitumorale, proprio quella. Peccato che in Italia sia illegale!
Come facevo allora a trovarla? Chiedevo ai medici notizie sulla cannabis terapeutica come antitumorale, ma incontravo difficoltà nell’ottenere anche le informazioni più elementari. Probabilmente l’illegalità di questa pianta ha pregiudicato la ricerca scientifica e gli specialisti stessi erano spesso poco preparati. Trovai infine medici illuminati che mi aiutarono nella nuova tappa della mia lunga marcia: ottenere legalmente cannabis terapeutica per alleviare sofferenze, gli effetti collaterali e le complicazioni dovute alla malattia e ai farmaci che assumo.
2013: La prescrizione di cannabis terapeutica e l’importazione
Finalmente, a inizio febbraio 2013, il mio medico curante mi prescrisse una terapia a base di cannabinoidi: 90 g di infiorescenze essiccate, con THC 18% (Bedrocan) e 60 g di foglie essiccate con CBD al 7,5% (Bediol).
Compilai i moduli e li presentai all’Asl. Attesi un paio di mesi prima di ricevere conferma dell’autorizzazione all’importazione dall’Olanda, poi, pagata anticipatamente la cifra richiesta, il costo era a mio carico, per una cifra di circa 10 euro al grammo. Mi domandavo perché mentre le dispendiose chemio e radioterapie erano erogate dal Sistema Sanitario, tramite ospedale, la cannabis, che necessitavo come antitumorale, non lo fosse. Se non fossi stata in grado di affrontare la spesa, grazie anche al sostegno dei miei familiari, sarei stata costretta a rinunciare, assumendo esclusivamente i farmaci forniti direttamente dall’ospedale o, peggio ancora, avrei dovuto rivolgermi al mercato nero, come molti pazienti con patologie o sintomi invalidanti erano costretti a fare, visto che le difficoltà nell’ottenere la prescrizione non mancavano e raramente il costo era sostenuto dal servizio sanitario.
Al momento solo in alcune regioni italiane è possibile ottenere la cannabis tramite il day hospital dell’ospedale senza oneri per il paziente. A me questa sembra una limitazione al diritto alla salute e alla libertà di cura sancito dall’articolo 32 della nostra Costituzione. Oltre all’importazione diretta del farmaco, procedura che adottavo mediante la mia Asl, previa presentazione di ricetta redatta secondo la legge Di Bella, era possibile ottenere la cannabis terapeutica anche come preparazione galenica attraverso le farmacie territoriali. In quel caso l’accesso al farmaco veniva semplificato, in quanto a modalità di prescrizione e tempi di erogazione, peccato che il costo, a carico del paziente, potesse lievitare fino a 35-40 euro al grammo.
La farmacia, infatti, riceveva la sostanza per mezzo di un grossista italiano, confezionando la quantità richiesta in singole dosi e facendo così incrementare a dismisura il costo.
Come assumere il medicamento? Un’estrazione fatta in casa
Durante il lungo periodo di attesa per la fornitura del farmaco, confrontandomi con medici, altri pazienti e leggendo varie testimonianze, ho studiato diversi modi di assunzione possibili e deciso di trasformare la cannabis in estratto concentrato (resina) o di usarla per infusione, in modo da ingerire la sostanza.
Alla consegna dei farmaci da parte dell’Asl, a fine maggio 2013, mi occupai subito di produrre il concentrato che intendevo assumere oralmente e che col suo elevato contenuto di principi attivi era molto potente.
Come solvente ho utilizzato l’alcool etilico, nel quale la pianta viene triturata, pressata e poi filtrata. Evaporando, l’alcool lascia come risultato un olio scuro dalla consistenza molto viscosa, l’estratto concentrato di cannabis comunemente noto come RSO (Rick Simpson Oil). Una cara amica mi aiutava nella procedura, che avevamo visualizzato già più volte su internet e che finalmente riuscimmo a mettere in pratica, usando il rapporto di 2:1 tra Bedrocan e Bediol.
Ero consapevole che l’ingestione dell’estratto concentrato ottenuto dalla resina dei fiori di cannabis potesse causare conseguenze psicoattive, ma quello che m’interessava era mitigare gli effetti collaterali degli altri farmaci e l’efficacia curativa della sostanza, era provata ampiamente dagli studi scientifici pubblicati, tra l’altro, sul sito governativo USA.
Ingerire una singola goccia di estratto concentrato di cannabis terapeutica, spalmata su una parte sottile di ostia per meglio dosarla, mi permetteva di riposare profondamente la notte, senza girovagare per ore a causa dei dolori, dell’insonnia, delle tensioni.
Questo probabilmente perché la cannabis agisce anche sulla ghiandola pineale, favorendo la produzione di melatonina, i cui livelli sono spesso bassi nei malati di cancro.
Assumo questo farmaco ormai da giugno 2013, ma non mi limito a questo.
Ho modificato parte della mia alimentazione, grazie ai preziosi consigli di uno specialista la cui visione della malattia supera i protocolli convenzionali, cercando di disintossicare il mio corpo attraverso cibi alcalinizzanti e sul finire di luglio 2013 ho introdotto altri integratori fitoterapici.
I fitoterapici e integratori che assumo comprendono:
- Polidatina,
- Boswellia,
- Curcuma,
- preparato a base di funghi (Cordyceps, Agaricus, Reishi, Maitake, Shitake),
- preparato di Grifola, Unghia di gatto, Ashwagandha, Partenio,
- Tè verde
- Melatonina per regolare il sonno
- Metformina per ridurre e ritardare l’assorbimento del glucosio.
Seguo questa terapia convenzionale e integrativa, anche con la cannabis come antitumorale. Ne mangio i semi, ricchi di tutti gli aminoacidi essenziali e con un ottimo rapporto omega3/omega6 e condisco le verdure con l’olio di canapa biologico privo di thc. Trovo questi prodotti nei punti vendita specializzati e persino dai frati.
Poi ingerisco a piccole dosi i miei biscotti, preparati con il burro ottenuto dai residui di marijuana medica fornita attraverso l’Asl e utilizzata in precedenza per l’estrazione del concentrato, mentre di sera assumo il mio farmaco auto prodotto, la resina di THC/CBD.
Nel frattempo mi confronto con altri pazienti, partecipo a convegni sul tema, approfondisco attraverso internet le preziose informazioni a disposizione: scopro nuovi metodi di estrazione, sperimentati da ricercatori della Bedrocan e da uno scienziato italiano, dove tra i possibili solventi viene indicato l’olio di oliva, che rispetto all’alcool, grazie all’assenza di evaporazione, permette di dosare con maggior facilità il farmaco.
Con una successiva fornitura erogata dalla Asl ho realizzato anche questa modalità di estrazione, studiata appositamente come procedura da espletare in ambito casalingo, in quanto gli effetti psicoattivi sono pressoché nulli con dosaggi controllati (20 gocce nel mio specifico caso) e indicata al consumo durante le ore diurne.
La mia successiva Tac Pet non ha evidenziato nuove lesioni o recidive e credo che questo sia un risultato promettente.
Purtroppo la fine del 2014 ha segnato delle evoluzioni negative per il mio cancro: ho sviluppato altre due metastasi cerebrali in zona frontale, trattate entrambe a Firenze nel dicembre 2014 con radioterapia stereotassica ipofrazionata Cyberknife.
Ho continuato ad assumere cannabis come antitumorale sotto forma di resina, in quantità molto limitata a causa della mia scarsa tolleranza e dell’esigenza di seguire i miei figli, rimanendo quindi lucida durante la giornata e riservando questo trattamento esclusivamente all’assunzione serale (pari a circa 0,01 g), che mi ha indubbiamente giovato per
i benefici in termini di riposo (compensando le dosi di cortisone assunte durante la giornata, mitigando il nervosismo e agevolando il sonno), ma non ha avuto effetti terapeutici significativi.
Da gennaio 2015, ho proseguito col trattamento endovena Trastuzumabn (Herceptin®), ogni 21 giorni in ospedale, ma a ottobre 2015 sono state diagnosticate 7 lesioni cerebrali in varie parti del cranio, tra cui tre piccole metastasi dietro l’occhio destro e altre a sinistra in varie sedi (parafalcale, frontale, para-frontale).
A fine 2015 ho affrontato nuovamente un trattamento radioterapico, eseguito su tutto l’encefalo, presso una struttura ospedaliera pubblica romana che si interfacciava con l’ospedale dove effettuavo le terapie convenzionali. Alla fine della radioterapia whole brain, sopportata discretamente, iniziavano gli effetti collaterali: a causa dell’esteso edema perilesionale, ero costretta ad assumere costantemente cortisone in dosaggi piuttosto alti.
Mi sono adeguata al protocollo suggerito dai medici e poi, dopo aver eseguito a gennaio 2016 una Tac total body di controllo che non evidenziava altre lesioni, ne ho iniziato gradualmente la riduzione. Nel frattempo, considerata la criticità della mia situazione, ho incrementato la dose di resina di cannabis giornaliera, imparando ad assumere dosaggi man mano maggiori e fino ad arrivare, per un mese circa, a curarmi con tre dosi giornaliere, per un totale di circa mezzo grammo di resina di cannabis. Purtroppo in seguito non sono riuscita a mantenere questo dosaggio perché mi provocava eccessiva sonnolenza. Il malessere provocato dalla riduzione del cortisone, si è trasformato velocemente in anoressia con vomito e diarrea continui, mettendomi nella condizione di dover ricorrere più volte alle cure dei sanitari per cercare di riacquisire l’equilibrio gastro intestinale e un po’ di peso.
Normalmente il mio peso oscilla tra i 50 e i 52 kg, ma a febbraio 2016 arrivavo a pesarne 44,8. Mi sentivo disidratata, denutrita e debole.
Nel frattempo, il 20 gennaio 2016, i medici iniziarono a somministrarmi un farmaco di nuova generazione, tdm1 (Kadcyla3), sottoposto a monitoraggio da parte del Registro dei Farmaci e potenzialmente efficace per casi come il mio, ma con notevoli possibili reazioni avverse, alle quali andai incontro, come infezione delle vie urinarie, dolori addominali, disturbi della vista. Assunsi nuovamente il cortisone a un dosaggio accettabile e presi provvedimenti a livello alimentare per migliorare la qualità di vita, non intendevo arrendermi.
Il 23 giugno 2016 sopraggiunsero, dopo 6 cicli del nuovo farmaco convenzionale, una crisi epilettica con perdita di coscienza e una lieve ischemia. Mio figlio chiamò prontamente il 118 e segue un ricovero ospedaliero con conseguenti controlli.
La terapia convenzionale TDM1 venne sospesa dagli oncologi, in quanto sospettata di aver contribuito o provocato l’ischemia e la crisi epilettica. Cominciai nuovamente a prendere il Keppra (antiepilettico) da 500 mg in 3 compresse al dì. Quando le ridussi a 2 compresse, ebbi due nuovi episodi di epilessia parziale come mi spiegarono in ospedale.
Visto che gli oncologi non avevano altri suggerimenti o terapie da proporre, decisi di proseguire con le cure naturali: resina di cannabis nella misura maggiore possibile per la mia tolleranza e la mia situazione (circa 0,25 g/die), fitoterapici, un regime alimentare sano che non sempre è facile mantenere e yoga.
Mi sentivo senz’altro meglio rispetto alla prima parte dell’anno (2016), quando ero sottoposta a terapie convenzionali.
Mantenevo l’assunzione giornaliera di Omeprazolo 0,20 g (gastro protettore), cortisone Soldesam (32 gocce), antiepilettico Keppra 500 mg (3 compresse). Nonostante gli sviluppi promessi sul fronte dell’erogazione di cannabis, quest’ultima, attraverso l’Istituto di Firenze, non è ancora disponibile in forma concreta per tutti i pazienti quindi personalmente, continuo a riceverla tramite Asl dall’Olanda, con la possibilità di poter usufruire di nuove varietà
finalmente disponibili anche sul nostro territorio nazionale, come il Bedrolite, <0,4% in THC e 9% in CBD (efficace contro l’epilessia).
Gli ultimi esami diagnostici (novembre 2016) non rilevano peggioramenti delle masse trattate: le metastasi cerebrali sembrano piuttosto essersi lentamente trasformate in striature, ma ciò che è più preoccupante sono le conseguenze della radioterapia whole brain. Viene diagnostica una probabile necrosi dovuta alla terapia, col rischio quindi di sviluppare demenza o altre metastasi nella zona cerebrale.
Dopo la risonanza encefalica e la tac total body di ottobre/novembre 2016, ho intensificato il mio percorso di cura, incrementando l’assunzione di resina di cannabis, ottenuta dall’estrazione alcolica, fino a un dosaggio di 0,5 g al giorno, suddivisa in tre dosi durante le 24 ore, di cui la maggior parte la sera. Ho proseguito a praticare, occasionalmente, ma sempre con grande beneficio: yoga, meditazione e massaggi shiatsu, seguendo un’alimentazione il più possibile naturale.
A fine gennaio 2017 ho eseguito una nuova risonanza alla testa e con grande sorpresa degli oncologi, sono stati rilevati “solo” i danni provocati dalla radioterapia whole brain, mentre le 7 metastasi diagnosticate a ottobre 2015, non risultano più ricettive: in pratica sono morte, nel giro di tre mesi. La durata dell’effetto curativo della
radioterapia viene stimato in 6 mesi dalla fine del trattamento, nel mio caso giugno 2016, periodo in cui ho dovuto sospendere le altre terapie convenzionali in ospedale a causa della crisi epilettica.
Di conseguenza attribuisco questo risultato “stupefacente” allo stile di vita condotto in quest’ultimo periodo, durante il quale l’azione sinergica degli elementi elencati, cannabis come antitumorale, in primis, ha prodotto ciò che forse i soli farmaci convenzionali non sarebbero riusciti a ottenere.
Purtroppo dal 2017 al 2020 le condizioni di salute di Claudia sono ricominciate a peggiorare.
Claudia si è spenta il 14 settembre del 2020. Una donna che ha dimostrato una forza luminosa e che ha voluto condividere sino a che ha potuto la propria esperienza come esempio per il prossimo.
Siamo onorati di ospitare sulla nostra piattaforma la voce di questa giovane donna.
1 commento
dawson
04/03/2024 13:32Dio benedica Rick Simpson per avermi aiutato a curare il cancro di mio padre. Fratelli, mio padre soffriva di cancro da molto tempo, ho provato tanti rimedi ma sembra che funzioni. Ma ero in contatto con Rick Simpson, che ha visto così tante persone testimoniare di come fossero guarite dalle loro varie malattie e virus da questo Rick Simpson. Allora gli ho spiegato tutto il mio problema e lui ha promesso di curare mio padre. Quindi gli ho concesso ogni beneficio del dubbio, ed ecco, ha preparato la miscela di olio di canapa e me l'ha inviata nel mio paese. Oggi sono orgoglioso di dire che mio padre ora è libero dal cancro e la sua vita è tornata alla normalità.