Cannabis, adolescenza e pandemia: intervista al Dott. Federico Tonioni
Il Dottor Federico Tonioni, neuropsichiatra e responsabile area dipendenze da sostanze e dipendenze comportamentali del Policlinico Gemelli di Roma, ci parla di cannabis, adolescenza e pandemia.
In questo periodo di pandemia mondiale e dopo un anno di confinamento, cosa può dirci della salute mentale dei suoi pazienti?
Inizialmente, con il primo confinamento di marzo, gli adolescenti che avevano già problemi di ritiro sociale hanno quasi condiviso la chiusura. In questa seconda fase, invece, c’è stato proprio un crollo ed un aggravamento dei loro sintomi, come se si strutturasse una sorta di depressione, ma anche un disorientamento che a livello sociale e politico è anche il nostro. Abbiamo perso la fiducia, anche se prima non è che ne avessimo molta, nelle persone che conducevano la narrazione ufficiale.
Il fatto che gli adulti abbiano perso la fiducia nei loro rappresentanti e che gli adolescenti siano costretti a rivedere i propri modelli relazionale come incide sul loro benessere psicologico?
In generale, credo che adesso gli adolescenti siano diventati una categoria a rischio, ed anche fra le meno protette, e questo perché la rinuncia alle relazioni per un adolescente o per un bambino ha conseguenze molto diverse rispetto agli adulti. L’identità, infatti, si fonda proprio all’interno delle relazioni con il proprio gruppo di pari, per cui interrotto questo strumento di relazione così importante, i ragazzi sono colti da una generale base depressiva.
Il confinamento ed i problemi lavorativi che spesso ne conseguono, comportano certamente un aumento dei livelli di stress, ansia e depressione. Lei ha registrato anche un aumento nel consumo di psicofarmaci?
Dal mio piccolo osservatorio si e questo, piuttosto che per gli anti depressivi, poco maneggevoli e molto gravosi da assumere per i loro effetti collaterali, vale sia per il consumo di alcol che per gli ansiolitici contro lo stress da insonnia. Al contrario degli antidepressivi, il rapporto fra la gente comune e gli ansiolitici è molto più easy. Nel nostro immaginario, infatti, quando si prende uno psicofarmaco per il passaggio dalla veglia al sonno, siamo molto più tolleranti rispetto al prendere un antidepressivo. Tanto è vero che per le sostanze che ci aiutano in questo passaggio, molto spesso vale più la funzione simbolica di quello che prendiamo che il principio attivo stesso.
Parlando di questa relazione fra principi attivi e dimensione simbolica, nel Canada, paese che ha legalizzato la cannabis nel 2019, la maggior parte dei cittadini la utilizza contro il dolore fisico, ma anche e proprio contro l’insonnia, l’ansia e lo stress in generale. Che ne pensa?
Non ho mai prescritto cannabis per queste indicazioni, ma se una persona dorme con la cannabis terapeutica non vedo alcun problema. Personalmente mi è capitato di rilasciare certificati di sindrome ansiosa evidente e sono a conoscenza che il paziente, grazie a questo certificato, sia riuscito a ottenere la prescrizione di cannabis terapeutica dopo aver provato altri farmaci senza alcun successo. Al di la dei principi attivi della cannabis, che sono molteplici, il mio pensiero è che in quel tipo di paziente, vuoi per motivi di cultura, di rapporto con l’autorità, di rapporto con la proibizione e con la trasgressione, in poche parole, per quel tipo di vissuto, possa funzionare solo la cannabis. Al di la dei principi attivi, ripeto, proprio per il valore simbolico.
Parlando di cannabis la nostra legislazione differenzia il consumo ricreativo, che reprime, da quello terapeutico che permette. Lei come valuta questa distinzione?
Il confine tra esigenza medica ed esigenza ricreativa è molto sottile e non credo sia solo una questione di cannabis. Io mi occupo di adolescenti che soffrono e assicuro che la rigidità e le proibizioni, lo dice la storia, non funzionano. Nel discorso fra adolescenti e sostanze psicoattive, non posso non sottolineare la somministrazione, tantissime volte incongrua, di psicofarmaci e parlo soprattutto di antidepressivi e di stabilizzanti dell’umore per il quale c’è stato un incremento massivo a partire da diagnosi, come i famosi disturbi dell’apprendimento, che mi lasciano veramente perplesso. Dato che i problemi non sono mai biologici, ma sempre affettivi, se scegliamo di rispondere ad una domanda affettiva con una sostanza chimica, poi non ci dobbiamo stupire se dal Ritalin, per il disturbo dell’attenzione, a quattordici anni passano alla cocaina. È lo stesso tipo di operazione con la differenza che cambia la sostanza e a quel punta se la sceglie l’adolescente.
Come valuta il consumo di cannabis durante l’adolescenza?
Nella mia esperienza lo “spinello ricreativo di cannabis” è adolescenza e non giustifica nessun intervento clinico. Prendo in considerazione solo i casi nei quali sono i ragazzi stessi a presentarsi, raccontandomi che si fanno dieci canne al giorno e le prime due prima ancora di entrare a scuola, magari bevendoci sopra una Ceres o una Tennent’s. Sono storie che non chiedono alla cannabis un po’ di svago, la sera o con gli amici, ma di curare qualcosa e di solito sotto questo tipo di situazioni si trovano disturbi del pensiero, una profonda mancanza di stima, rapporti conflittuali con la propria immagine corporea, la paura della sessualità e dell’innamoramento. Tutti aspetti che riguardano l’adolescenza, ma che in quei casi sono visti come veri e propri fantasmi e vengono coperti da un uso massivo di cannabis.
Sempre in Canada sta emergendo un nuovo tipo di consumatore di mezza età che acquista derivati dalla cannabis, come auto medicazione ed in generale per il proprio benessere psicologico. Perché questa dimensione auto curativa non è sempre considerata legittima in Italia?
Nella cultura italiana, il concetto di benessere psicologico è al confine con il concetto di piacere e questo con il concetto di vizio. Il vizio, erroneamente, lo si trova al confine con la patologia, potrei anche dire con il concetto di peccato. Per questo motivo il benessere psicologico è un argomento che si muove sul confine, interpretabile in tanti modi, per cui, al di sopra del bene e del male, il mio parere è che questo tipo di benessere andrebbe ricercato costantemente. Purtroppo non è sempre così, perché esiste l’idea di medicalizzare qualsiasi emozione eccessiva e questo approccio è molto pericoloso.
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