Cannabis contro la sindrome fibromialgica: la storia di Fabrizio Pellegrini
Da due decenni, Fabrizio Pellegrini coltiva cannabis contro la sindrome fibromialgica. La sua ostinazione l’ha portato a numerosi processi, detenzioni domiciliari e carcerazioni dalle quali è sempre uscito con la medesima determinazione. Ecco la sua storia incredibile.
La sindrome fibromialgica
Mi chiamo Fabrizio Pellegrini, sono musicista ho 52 anni e soffro di sindrome fibromialgica. La fibromialgia è la cronicizzazione di un deficit enzimatico cerebrale, in pratica il mio sistema immunitario è in continua sofferenza. La sindrome fibromialgica è una patologia neuro immunologica ed è spesso conseguenza dell’asma bronchiale cronico allergico. Nello specifico viene a mancare un neurotrasmettitore, la serotonina. Nel paziente in cui la malattia è in uno stadio avanzato, come nel mio caso, la mancanza di serotonina provoca il lento e progressivo restringimento del canale midollare e l’occlusione dei forami nervosi alle radici dei giunti articolari che, oltre a provocare insonnia, provoca dolore diffuso e persistente, a carico soprattutto della colonna vertebrale.
Tutto cominciò con un banalissimo asma. Avevo 2 anni e tutto partì dalla pertosse alla quale, per ereditarietà materna, si era aggiunto anche l’asma. Fin da quell’età mia madre, dall’Abruzzo, mi portava a vaccinare a Firenze.
Lo sviluppo della farmaco resistenza al cortisone
I vaccini, però, non davano esito e per tamponare gli attacchi si passò alle inalazioni in aerosol a base di cortisone. In quel periodo, tra l’altro, erano appena stati immessi in commercio il Ventolin e il Bentelan e così, per tutta l’infanzia, mi abituai a portarmeli sempre dietro.
Arrivato all’adolescenza l’asma non se ne andava. A 13-14 anni ero talmente farmaco-resistente al cortisone che continuavo a subire ricoveri, flebo, etc. Ero letteralmente imbottito di cortisone.
La svolta c’è stata a 16 anni quando smisi di mangiare carne e ciò ridusse notevolmente l’esposizione agli attacchi.
Dal momento in cui smisi con la carne fu come se il mio organismo diventasse meno esposto, mi sentivo meglio, magari potevo avere un attacco con il cambio di stagione, ma comunque si diradavano da 4 a 3, da 3 a 2, da 2 ad 1 fino a sparire. Ho impiegato anni ed anni per ripulirmi dal cortisone e penso dipenda anche dalla decisione di smettere con la carne piena di farmaci e steroidi. Fino a 20 anni ho convissuto con attacchi settimanali, circa un ricovero al mese e nell’arco di un anno anche dieci volte all’ospedale, man mano che crescevo per fortuna gli attacchi si diradavano.
Cannabis e sindrome fibromialgica: le conseguenze della cannabis di strada
La mia storia con la cannabis per curare la sindrome fibromialgica comincia dopo aver terminato gli studi come pianista al conservatorio di Pescara. Nel 1991 avevo 23 anni e suonavo con un’orchestra di musica cubana. I miei compagni di orchestra non avevano remore nell’utilizzo di stupefacenti e così cominciai con le prime boccate, sollevandomi anche dal problema asmatico con il quale ero cresciuto. Sotto il profilo nutrizionale seguivo una dieta più sana possibile e poi, dopo aver diradato e smesso con i farmaci, curavo l’asma adottando piante medicinali come tisane di melissa, che è una varietà di menta, eucalipto ed issopo. Come consumatore occasionale di canapa non ero ancora informato sul valore terapeutico della sostanza, per cui potevo soltanto constatare il beneficio immediato derivante dal consumo. Continuavo a suonare con il gruppo, andavamo in tournée in tutta Italia e così, da consumatore occasionale, sono diventato consumatore del week end.
L’asma intanto era sparito e non è più tornato, tant’è che oggi non ne soffro più. Dopo una parentesi a Bergamo, prima di finire gli studi, ero tornato a vivere al mio paese dove mi ero fidanzato con una ragazza più grande di me. Un giorno però ebbi una febbre fortissima, reumatica, che mi durò tre giorni. Da quel momento i miei dolori articolari diventarono più fastidiosi. La febbre fu l’insorgere e manifestarsi dei dolori dorsali della sindrome fibromialgica e credo sia stata originata da un accumulo di scorie plastiche nell’organismo, scorie dovute alla bassissima qualità di hashish, che girava in quegli anni e della quale ero consumatore.
Era una schifezza che girava a quei tempi e la cui qualità dipendeva e dipende dalle dinamiche del mercato nero. Dal quel momento avrò avuto 24-25 anni, la mia vita è cambiata.
La sindrome fibromialgica si stava facendo spazio e io non la tamponavo adeguatamente con la cannabis che agisce come anti-proliferativo. Non riuscivo nemmeno più a lavorare: se prima potevo andare a cogliere le olive o a vendemmiare, in quel momento non ne avevo più la forza, non riuscivo più ad arrampicarmi sugli alberi, ero a terra e questo problema mi toccò anche sul piano artistico, non riuscivo nemmeno più a fare le serate. Quando fumavo stavo bene e andavo a suonare, ma dovevo portarmi come scorta un cinquantino di quel che si trovava. Era una vitaccia perché non piaceva all’organismo.
I primo problemi con la legge e la prima autoproduzione di cannabis
Nel 1999 mi arriva il primo avviso della questura. Venni fermato dalle guardie, ricordo che ero in macchina con una canna in mano e e mi fecero capire che mi sarebbe arrivato un avviso postale per controllo delle urine, sarei dovuto andare al Sert, ma non ci andai.
Nel 2000 ho cominciato a coltivare. Per la prima volta piantai due semi per ottenere due piante stupende di 60/70 cm. Avevo 32 anni e piantai sul balcone di mia madre. A Chieti il fumo che girava non era buono, la buona qualità ce l’avevano solo in pochi e io non ce la facevo più. Quando compravo i mezzi etti d’erba andava da dio: studiavo, suonavo, avevo energia e la mettevo a frutto. Così ho capito che fra l’erba e il fumo, la prima aveva un’azione medicamentosa superiore.
Nel 2001 però successe un fattaccio. Verso l’ora di pranzo due agenti in borghese mi fermarono al parco comunale. Senza chiedermi i documenti mi perquisirono velocemente e mi trattennero, nonostante la perquisizione non avesse dato esito. Io mi spaventai, avevo paura. Pensavo: “ Ma che ho fatto?” Mentre bevevo un sorso d’acqua dalla fontana, ero al parco, la guardia disse: “Lo dobbiamo portare dentro” e così dicendo, nel medesimo momento, mi torse il braccio dietro la schiena, mi prese il collo, abbassandomi la nuca pesantemente per mettermi in macchina.
Mi faceva male e io per istinto ho reagito. Gli presi il collo per difendermi e per questo fatto ho poi scontato ai domiciliari la sentenza definitiva di condanna. Mi saltarono addosso in quattro, ma non riuscivano a staccare la mano dal collo. Mi fecero cadere gli occhiali, mi misero sulla volante di forza e per fortuna gli potei riprendere al volo prima di salire. Finito in caserma: schedato, fotografato, impronte digitali e trasferito dalla cella della caserma nella guardina di un comando della scalo ferroviario dove passai tutto il pomeriggio, la sera e la notte senza materasso.
Il giorno dopo processo per direttissima. Lascio immaginare come stavo fisicamente: ero uscito per cercare da fumare e mi ritrovavo dentro. In tribunale per fortuna il giudice di turno, senza essere presente, ordinò la scarcerazione immediata.
Quando sono tornato a casa ho trovato un disastro: la mia stanza tutta a soqquadro, tutto rotto, valori, ricordi. Tutto distrutto. Un macello. In teoria potevo chiedere i danni, ma in pratica dovevo aspettare la Cassazione. Questo fatto è stato drammatico.
L’incontro con i Pazienti Impazienti Cannabis e l’autoproduzione di cannabis collettiva
Era il 2001 e poi a ruota ci sono stati i fatti del G8. Nel 2001, grazie ad una paziente genovese, Alessandra Viazzi, nacque anche il PIC [Pazienti Impazienti per la Cannabis]. Nel 2002 il PIC prese campo e, al Forte Prenestino di Roma, dove già si praticava l’auto produzione, l’esistenza stessa dell’associazione ribadiva con maggior enfasi la necessità di auto produrre cannabis per scopo terapeutico. Così noi pazienti potevamo cominciare a rifornirci con una parte del raccolto che andava ai malati. Andavo a Roma come minimo una volta al mese per approvvigionarmi.
Il mio fabbisogno mensile variava dai 30 ai 50 grammi e quando erano finite le scorte dovevamo provvedere diversamente. Per sostenere le spese della coltivazione tutti noi pazienti ci assumevamo un costo di partecipazione. Con quell’investimento si aderiva ad un progetto che poi è il mutuo soccorso.
Sempre nel 2002 decisi di insistere per assicurarmi la continuità terapeutica, mentre intanto il mercato nero prendeva una certa piega: quello che mi riuscivo a procurare non mi bastava ed era di qualità insoddisfacente.
L’irruzione della Finanza ed il primo processo per coltivazione
Misi 7 piante, seminandone due ad aprile, due a maggio e tre a giugno. Era la quantità che ritenevo idonea per il mio fabbisogno. Avevo preso spunto dalle quantità mediche adottate in Canada e in Olanda. Pensai che se dovevo rischiare, facendo una cosa che seppur illecita prevedeva dei margini di riduzione del danno conforme alle indicazioni medico terapeutiche, lo avrei fatto. Erano semi di Super Skunk, però, purtroppo non me le sono godute.
La Finanza infatti ha bussato educatamente alla porta di casa e poi ha fatto irruzione. Non mi hanno messo dentro, ma hanno sequestrato una pipa d’argento e mi hanno mandato a processo per coltivazione.
Da quel momento però sono partito con la documentazione medica. Gli stessi finanzieri, prendendomi in giro, mi hanno consigliato di andare dal dottore per dimostrare che avevo bisogno di cannabis per la sindrome fibromialgica. Io conoscevo un medico, Peter Brunn Schulte Wissing omeopata, naturopata e iridologo e gli chiesi di visitarmi. Mi fece la foto dell’iride e mi diagnosticò una sindrome neuro vegetativa. Poi con le constatazioni cliniche ematiche vide l’insorgere di questa patologia reumatica che però nell’occasione non seppe individuare.
Così andai anche a fare una visita neurologica e poi reumatologica. Da quel momento cominciai ad accumulare documenti che dimostravano una comprovata necessità di terapia giornaliera continuativa di cannabis a lungo termine contro la sindrome fibromialgica. Il 19 settembre del 2002 il medico Peter Brunn Schulte Wissing scrisse al mio medico curante di valutare la prescrizione di cannabis allegando una terapia consigliata.
Comincia l’epopea di coltivazione per consumo terapeutico e gli arresti
Il mio medico curante però se ne fregava. Così decisi di rimettere le piante un’altra volta.
Nel dicembre del 2003 mi attestarono il 35% di invalidità civile. Sempre nel 2003 seminai ancora 14 piante, ma in luglio mi arrestarono. Feci dentro 3 giorni e appena uscii, ripiantai, riuscendo finalmente a godermi il frutto del mio lavoro per un paio di mesi.
Nel 2003 intanto, il primo di giugno, usciva ufficialmente anche il Bedrocan [Ndr. prodotto con l’autorizzazione del Ministero della Salute olandese] infiorescenza stoccata e confezionata sottovuoto, ma il mio medico curante non seguì il consiglio di prescrizione e non prese a cuore il suggerimento del collega.
Rimasto senza niente, se non con dei fogli inutili, così nel 2004, decisi di mettere 6-7 piante con la tecnica Green house (dietro vetri velati). Venni però perquisito al parco dai carabinieri che mi trovarono con qualche cima fresca, vennero subito a casa e mi misero agli arresti domiciliari per qualche giorno.
Nel 2005 attrezzai una serra indoor con 10 germogli, ma il 15 giugno alle 7.15 arrivarono 4 carabinieri. Gli aprì mia madre. Sequestrarono piantine, neon, terra e mi misero tre mesi in galera. Per 10 germogli! Non mi liberavano e non si capiva perché. Scrissi due volte all’arcidiocesi senza avere nessuna risposta. Per fortuna mentre ero dentro ci fu un’interrogazione parlamentare di Giovanni Russo Spena per me e per Giuseppe Ales [Ndr. Ragazzo siciliano morto suicida nel 2005 in seguito al processo per direttissima a causa di 7 germogli di canapa trovati nella sua abitazione] e qualche giorno dopo mi rimisero in libertà. Ma se non avessero fatto l’interrogazione?
Nel 2006 finanzieri in borghese mi fermarono tornando da Roma, appena sceso dal bus, con mezzo etto d’erba hawaiana nascosto nelle mutande. Mi fecero fare 3 giorni ai domiciliari e per questo fatto ho una condanna in appello ad un anno. Decisi allora di cambiare medico curante.
L’importazione di cannabis contro la sindrome fibromialgica
Il nuovo medico, Dr. Walter Palumbo, mi sottoscrisse immediatamente la procedura di inoltro della richiesta di Bedrocan e per il pagamento partì una petizione per la raccolta fondi su Liberazione. Raccogliemmo 489 euro per 30 grammi di medicinale. La richiesta venne controfirmata dal farmacista dell’ospedale di Chieti e venne mandato il fax al Ministero della Salute italiano che doveva autorizzare. Quando tutto filava liscio ci voleva un mese e mezzo prima di ritirare il farmaco. Dopo di che il farmaco durava un mese e poi eri punto a capo.
Volendo si poteva fare la richiesta trimestrale di 90 grammi, ma io sinceramente preferivo l’erba che prende i raggi del sole e magari che mi coltivavo da solo.
Nel 2007 feci crescere tre piantone in outdoor e quando le raccolsi a fine ottobre ci ricavai un quantitativo sufficiente per 4 mesi. Quindi a marzo 2008 ne ripiantai altre sette.
Nel febbraio cadeva il governo Prodi e da li in poi si sono davvero accaniti selvaggiamente.
Il 30 giugno 2008, il giorno del mio compleanno, il giudice Marina Valente mi rimandò in carcere per un mese, perché in seguito ad una perquisizione mi trovarono le 7 piante (ancora in fase vegetativa), mentre avevo l’autorizzazione per il Bedrocan.
In pratica, le sentenze dei tribunali vietano quello che la sanità autorizza, invece di assistermi mi trattavano come un pericoloso delinquente. Se tutto potesse essere ricondotto alla legge non ci sarebbe stato questo sfacelo: ci sono tante tutele, tante garanzie, che in realtà nel mio caso rappresentavano solo un calderone di parole.
Le realtà soggettive, dei singoli cittadini, toccano il dramma per davvero, anzi alcune, sfiorano la tragedia e questo è inammissibile. Io non potevo permettermi di importare il Bedrocan perché era a carico del paziente e per questo motivo la mia ultima richiesta risaliva all’8 ottobre del 2010, data in cui il Direttore Amedeo Budassi dell’ASL di Chieti mi comunicò che:“ Non era intenzione dell’Azienda assumere l’onere economico del farmaco richiesto” e che quindi, io stesso, avrei dovuto sobbarcarmi la spesa.
Ad oggi la mia richiesta è tutt’ora valida, datata 27 settembre 2010, ma il problema economico rimane.
L’altra soluzione era il mercato nero: se hai la fortuna di conoscere qualcuno che è capace di coltivare, puoi trovare un buon prodotto a circa 20 euro al grammo. Allo stesso tempo, importarla per vie ufficiali ti poteva costare da un minimo di 8 euro al grammo con un acquisto di 90 grammi, per un totale di 720 euro, fino a 16 euro al grammo con un acquisto di 30 grammi, per un totale di 480 euro. Tutto sommato per garantirsi una soddisfacente continuità terapeutica mi toccava scegliere il canale illecito.
Anche perché importare seguendo il canale istituzionale avrei dovuto avere 800 euro per essere coperto 3 mesi e in più bisognava considerare la dose media giornaliera di ciascun paziente.
Posologia appropriata e mancanza di continuità terapeutica di cannabis
Per me, ad esempio, utilizzando cannabis nella sindrome fibromialgica, avrei necessità di 2 grammi, 2 grammi e mezzo, assunti costantemente, tutti i giorni, ma ci possono anche essere momenti in cui il mio fabbisogno può essere maggiore, come ad esempio all’inizio della terapia, periodo in cui il corpo deve arrivare a un livello ottimale.
L’ingresso del principio attivo del THC nel sangue, infatti, ha un’azione antalgica immediata, ma la funzione staminale di ricostruzione dei tessuti danneggiati e/o infiammati impiega più tempo e più dosaggio.
Per me questa vita è come un’altalena: un giorno trovi qualcosa e un giorno nulla, un giorno trovi e due nulla, un giorno trovi e cinque nulla, una settimana trovi e un mese nulla. Ho passato lunghi periodi in astinenza senza cannabis e andavo avanti con l’artiglio del diavolo (Harpagophytum procumbens) che contiene alcaloidi, guaranà, caffè e tanto peperoncino. Non potevo uscire e stavo chiuso in casa da mia mamma, disteso sul pavimento, così tenevo irrorate le radici nervose che erano sempre compresse, mi alzavo solo per fare da mangiare. Era l’unica cosa che poteva tenere a bada il dolore vedendo un po’ fino a che punto potevo resistere, senza sapere cosa sarebbe successo in seguito.
Ed effettivamente poi, di cose me ne sono successe parecchie. Da quando sono rientrato a Chieti a casa di mia madre, nel luglio 2012, sono cominciati ad arrivare per posta avvisi legali che man mano consegnavo al mio avvocato di fiducia.
Ricomincia la coltivazione per uso medico di cannabis contro la sindrome fibromialgica
Nel marzo del 2013, dopo molti anni ho ricominciato a coltivare, non ce la facevo davvero più senza medicina. Sono tornato a schermare le finestre con delle tende velate, che lasciavano comunque trapassare la luce, ed avendo perso pratica nel corso degli anni ho dovuto faticare per riprendere la mano con la coltivazione.
A partire da settembre ho cominciato a tagliare cima per cima e finalmente a raccogliere e quest’esperienza mi ha tenuto coperto farmacologicamente almeno sino a fine anno. Poi sono rimasto di nuovo con il sedere per terra. Nel frattempo gli avvisi legali si accumulavano. Il problema era sempre più pressante e non potevo far altro che assistere alla mancanza di assistenza sia medica che legale. Per fortuna qualche amico mi ha aiutato, in maniera estemporanea, senza cioè poter essere garante continuativo del mio stato di salute, come dovrebbe fare lo Stato.
Così mi ho continuato a coltivare. Da quel momento sino a quando mi hanno nuovamente arrestato perché sono diventate definitive le condanne del 2006 e del 2008, ho fatto almeno 15 cicli di coltivazione. Quattro cicli ogni anno. Sono stato assolutamente autosufficiente nell’accedere al farmaco grazie a due metri cubi di serra.
In quel periodo, tra l’altro, dal novembre 2014 sino all’aprile 2015 sono stato ai domiciliari per un cumulo di pena di sei mesi da scontare per resistenza ed oltraggio a pubblico ufficiale. I carabinieri mi visitavano spesso, ad ogni controllo ero obbligato a farli salire per verificare che non fossi evaso, e nonostante l’odore di cannabis (fra quella consumata e quella che coltivavo) fosse tremendo, non mi hanno mai detto nulla e anzi i rapporti sono sempre stati rispettosi.
Ancora il carcere
L’8 giugno del 2016, visto che sono passate in giudicato le due condanne per due reati: il primo relativo al 2006 quando mi trovarono con mezz’etto nelle mutande e il secondo per il 2008, il giorno del mio compleanno con le piante ancora in fase vegetativa, sono stato condotto presso il carcere di Chieti.
In carcere dormivamo in sette in uno spazio ridotto, c’erano tre letti a castello, due da due piani e uno da tre e per andare in bagno bisognava mettere il semaforo. Io sono rimasto sempre a letto facendo yoga, l’unica cosa che potevo fare per rilassare i muscoli quanto potevo. Non mi è mai stato consentito ricevere la mia terapia di cannabis per alleviare i sintomi della sindrome fibromialgica [Ndr. Visto che si va in carcere per produzione di cannabis, in prigione non è previsto il suo consumo in un quadro legale].
Grazie a dio ho cambiato avvocato e grazie al suo lavoro dell’avvocato Vincenzo Di Nanna ed alle due visite dell’onorevole Rita Bernardini, dopo 55 giorni sono potuto uscire anche se in condizioni estremamente debilitate. Uscito dal carcere ho trascorso due mesi a casa di mia sorella.
Gli arresti domiciliari presso uno struttura protetta
Grazie all’interessamento del Senatore Luigi Manconi, sono stato messo ai domiciliari presso una struttura della parrocchia di Crevalcore vicino a Bologna. Li ero in terapia con Bedrocan, Bediol e Bediolite un grammo ciascuno al giorno prescrittomi dal Dott. Privitera. Il costo era di 16 euro al grammo è acquistavo presso la farmacia galenica di Ferrara. Ovviamente io non potevo permettermela, ma grazie a mia sorella ed alla custodia angelica e prodigiosa di Andrea Trisciuoglio dell’Associazione LapianTiamo mi rimisi in sesto. Ero comunque ancora in attesa di processo perché quando mi arrestarono, ovviamente, rinvennero circa un etto e quaranta di infiorescenze di cannabis che avevo prodotto per curare la sindrome fibromialgica.
La situazione era paradossale. Mi trovato sotto l’esercizio del sistema giudiziario che censurava il mio comportamento senza garantire i miei diritti, in particolare alla salute e alla vita.
Il sistema giudiziario non può ignorare l’istanza di ogni cittadino ad essere ascoltato riguardo le proprie necessità primarie e nemmeno essere ignaro della situazione di mancata assistenza, situazione dalla quale è scaturita la mia decisione di trasgredire la legge.
In Italia cambia la legge e comincia la produzione nazionale
A gennaio 2017 è cominciata la distribuzione di cannabis prodotta in Italia, ma dico sinceramente che per me questo non rappresenta nessun risultato, almeno per la maniera con la quale hanno orchestrato tutto il progetto. Mi sembra trattarsi piuttosto di una manovra politica: inaugurare la produzione nazionale come una vetrina da offrire all’opinione pubblica e farsene vanto, ma che a guardar bene si tratta di una spregevole calunnia perché sin dagli esordi si poteva capire che avrebbero fallito.
Hanno cercato di imitare qualcosa senza esserci riusciti e non mi voglio lasciare incantare da questa vetrina.
Io per primo ho sempre pensato di lasciarli lavorare, ma dopo i primi due anni, da quello che abbiamo visto, non hanno prodotto una cannabis di qualità e per questo ho deciso di non abboccare come un pesce all’esca.
Per fortuna ci sono gli olandesi che dopo anni di lavoro hanno sviluppato una metodologia seria con una qualità garantita. Faccio l’esempio della titolazione: la titolazione di un principio attivo è il primo requisito per mettere un farmaco in commercio e la cannabis FM2 che titolazione ha? Non è chiara e univoca come il Bedrocan, ma oscilla tra il 5% e l’8% per il THC e fra il 7,5% e il 12 % per il CBD.
Questo non è serio, secondo me non sono stati capaci di fare delle piante con una stabilità di titolazione e questo è ciò che indica tale maniera di titolare i principi attivi.
Il 23 luglio 2020 è stato assolto dalla Dott.ssa Chiara Di Gerio dall’imputazione di per aver coltivato cinque piantine di “cannabis” e della detenzione ai fini di spaccio di 430 grammi di “marijuana”.
A maggio 2021 Fabrizio Pellegrini ha conferito incarico al suo Avv. Vincenzo di Nanna di agire contro la ASL di Chieti, presentando formalmente esposto alla Procura competente, poiché detta struttura sanitaria, dopo aver negato per anni le cure mediche a base di cannabis, anche dopo l’entrata in vigore della legge regionale sulla cannabis terapeutica e successiva nuova delibera del 2019 che include la fibromialgia come malattia rimborsabile, non ha mai nemmeno dato riscontro, neppure a formali diffide notificate ai sensi dell’art. 328 c.p., senza neppure provare a giustificare le ragioni del ritardo.
Scrivi un commento